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7 anni

Pare che ogni sette anni le cellule del nostro corpo si rinnovino, o almeno è quanto si credeva succedesse fino a qualche anno fa, sul finire del secolo scorso. Oggi sappiamo che invece lo fanno costantemente, ma allora la notizia fu elemento scatenante per decidere di organizzare una festa – in un posto meraviglioso – per i miei primi sette anni in Sardegna. Sette anni, nuove cellule, ero sarda. Lo sono rimasta, checché ne possano dire oggi le mie cellule.

Anche dov’ero il 24 agosto 2016, lo ricordo perfettamente. Tre giorni a Eurodisney, tre giorni di stupore bambino, balsamo per un’estate difficile, di quelle che segnano distacchi a cui non si è mai preparati a sufficienza. Nella hall dell’hotel, in attesa della navetta per l’aeroporto, l’aggancio al wi-fi dà vita a una sequela di e-mail. Lo sguardo cade immediatamente sui messaggi – perché più di uno? – del servizio INGV “Hai sentito il terremoto?”. Apro, leggo e parte la pelle d’oca. È uno di quelli grossi e tanto vicino a casa. Nel frattempo Stefano legge in chat che un suo caro amico stava trascorrendo qualche giorno nel piccolo paese di origine, a un fiat dall’epicentro. Salvi lui e la figlia, la casa – costruita con i crismi – incrinata malamente, il borgo cancellato.

Le cose stanno così ancora adesso.

Nei mesi a seguire, saliremo a vederla e a farci investire dal dolore di Amatrice, dall’imponenza delle sue macerie, dalle persone che raccontano. Hanno un immenso bisogno di condividere, di piangere insieme. Di sperare insieme. Di non sentirsi soli. Abbandonati.

A giugno di quest’anno siamo per un weekend a Norcia. Saliamo a Castelluccio per una passeggiata nella stupefacente fioritura e decidiamo di tornare per una settimana di vacanza il mese successivo. La bellezza e la forza dei Sibillini ci incantano. La distruzione dei paesi che si susseguono nelle valli si offre ai nostri occhi intatta, scatenando una tempesta di emozioni e non delle più gentili.

7 anni oggi.

Ci sono persone che da sette anni si svegliano la mattina nelle “casette” – lei dove sta, signora? nelle SAE (soluzioni abitative in emergenza), ma l’emergenza non è passata? – e davanti agli occhi hanno le macerie del proprio paese crollato. Piantano fiori nelle SAE, le rendono il più possibile gradevoli e simili a una casa, anche se casa non sarà mai, e nel frattempo guardano macerie. Le loro macerie. Per 7 anni.

Sono cambiati governi locali e nazionali, colori dell’arco costituzionale, le macerie stanno sempre lì. Qualcosa si muove, poi si ferma, il Covid ci mette il carico da undici. Il 110% dirotta altrove le maestranze. L’Italia ricorda solo il 24 agosto, come del resto il 6 aprile e un’infinità di altre date che riaprono ogni giorno le cicatrici di quelli che sono sopravvissuti.

In questi paesi c’è gente di una qualità speciale, che ama così tanto la propria terra da volerne custodire anche le ferite. Sono persone che hanno deciso di restare e lottare. Di rimettersi in piedi e aspettare. Di lavorare ogni giorno e di avere così tanta fiducia nel futuro da consentirsi anche di pensare a nuove vite. Andate a trovarli. Parlateci. Ascoltateli. Anche il silenzio, che dice sempre più di quanto sia esprimibile in altro modo.

 

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